1° febbraio 1945: il diritto di voto alle donne

1° febbraio 1945 – Mia nonna aveva 24 anni, mia madre doveva ancora nascere, io e la mia generazione di coetanee saremmo arrivate molti decenni dopo.

Oggi, le bambine che sono nate quel giorno compirebbero 75 anni, così come compie 75 anni il diritto di voto alle donne in Italia.

Era il 1° febbraio 1945, quando venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo Luogotenenziale n° 23, che estendeva alle donne il diritto di voto.

DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE  1° febbraio 1945 n° 23:

Estensione alle donne del diritto di voto.

Il decreto fu varato dal 2° governo Bonomi, di cui facevano parte la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Comunista Italiano (PCI), la Democrazia del Lavoro (DL, poi PDL) e il Partito Liberale (PLI). La proposta fu avanzata da Palmiro Togliatti e da Alcide De Gasperi, leader rispettivamente del PCI e della DC, e poi approvata il 30 gennaio 1945 durante una riunione del Consiglio dei Ministri, nel corso della quale si discusse (come ultimo punto) relativamente alla questione del diritto di voto delle donne. La concessione di tale diritto era ormai inevitabile e meritata, visti gli enormi contributi dati dalle donne, durante le due guerre mondiali, quando tutti gli uomini furono chiamati alle armi, come manodopera al sostegno dell’economia del Paese, col dono delle fedi d’oro per aiutare la patria in crisi, come infermiere volontarie e crocerossine professioniste al fronte, come madrine di guerra che tenevano la corrispondenza al fronte, imbracciando armi come partigiane o mettendo a rischio la vita come staffette, come rappresentanti delle istituzioni (si pensi a Nilde Iotti).

Il 20 gennaio 1945 Togliatti aveva scritto una lettera a De Gasperi, dove aveva presentato la necessità di avanzare la questione del voto delle donne nell’imminente Consiglio dei Ministri. De Gasperi gli aveva risposto come segue:

“(…) ho fatto più rapidamente ancora di quanto mi chiedi. Ho telefonato a Bonomi, preannunciandogli che lunedì sera o martedì mattina tu e io faremo un passo presso di lui per pregarlo di presentare nella prossima seduta un progetto per l’inclusione del voto femminile nelle liste delle prossime elezioni amministrative. Facesse intanto preparare il testo del decreto. Mi ha risposto affermativamente.” (Alcide De Gasperi)

Il diritto di voto veniva dato alle donne italiane con più di 21 anni.

L’articolo 3 del decreto poneva dei limiti al suffragio femminile: ne restavano escluse, infatti, le prostitute schedate che esercitano fuori dei locali autorizzati. Erano citate nell’art. 354 del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Tale norma sarà abrogata nel 1947.

A questa tappa epocale, al tempo, fu dato ben poco risalto dalla stampa. Solo alcuni giornali pubblicarono cenni sintetici all’evento, come “Il Tempo”, che parlò sommariamente del varo del decreto Bonomi, e “l’Avanti”, nella sua tradizione socialista, che scrisse che favorire il voto e la partecipazione delle donne alla vita politica era da intendersi come un mezzo “non per allontanarle dalla casa, ma per difenderla lottando per la democrazia”. La conquista del diritto di voto lasciò indifferenti molte attiviste femministe, come affermò Anna Rossi Doria, storica e accademica italiana, docente universitaria di storia contemporanea, che tenne anche corsi di storia delle donne.

“Proprio le donne più politicizzate, le dirigenti attive nella Resistenza al momento del decreto sul voto ne accolgono la notizia con una notevole indifferenza.” (Anna Rossi Doria)

Da più parti furono messi in atto tentativi per far passare alla storia il diritto di voto alle donne italiane come uno step fondamentale dello sviluppo democratico più che come una concreta conquista della nuova cittadinanza femminile.

Nel decreto del 1° febbraio 1945 si dimenticò però di fissare il principio di eleggibilità anche per le donne, che fu in seguito stabilito dal decreto n° 74 del 10 marzo 1946, grazie al sollecito del UDI (Unione Donne Italiane). Di fatto, l’UDI inviò un telegramma a Bonomi l’11 febbraio 1945. Il decreto del 10 marzo 1946 (“Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea costituente”), art. 7, conferì l’eleggibilità alle italiane di almeno 25 anni.

“Sono eleggibili all’Assemblea costituente i cittadini e le cittadine italiani che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età (…)” (art. 7 Decreto n° 74 10 marzo 1946)

Le prime occasioni di voto, che videro i primi afflussi di donne alle urne, furono le elezioni amministrative della primavera 1946, che si tennero tra marzo e aprile, e il referendum tra monarchia e repubblica del 2 giugno 1946. Non a caso “le donne del 1946” è un’espressione comune con cui si fa riferimento alle prime donne italiane che poterono votare.

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Le amministrative diedero i propri frutti ancor prima del referendum: l’affluenza sfiorò l’89%, circa 2000 candidate vennero elette nei consigli comunali, la maggioranza nelle liste di sinistra. Si recarono a votare, in 5.722 comuni, 7.862.743 uomini e, per la prima volta nella storia d’Italia, 8.441.537 donne. Tra le donne elette nelle amministrazioni locali, vi erano: Gigliola Valandro (Democrazia Cristiana) e Vittoria Marzolo Scimenti (Democrazia Cristiana) a Padova, Jolanda Baldassarri (Democrazia Cristiana) e Liliana Vasumini Flamigni (Partito Comunista Italiano) a Forlì, Ada Gobetti che fu eletta vicesindaco di Torino.

La sorpresa venne per le prime sette donne sindaco, elette in piccoli centri. Due di loro furono elette in Emilia, due in Sardegna, una nelle Marche, una in Umbria e una in Calabria. Quattro di loro erano maestre e avevano la licenza di scuola superiore, una era avvocato, due erano casalinghe benestanti. Quattro di loro erano comuniste, tre democristiane. Tutte furono rielette per diverse legislature, viste le capacità dimostrate: Margherita Sanna (Orune), Ninetta Bartoli (Borutta), Ada Natali (Massa Fermana- Fermo) deputata dal 1948, Ottavia Fontana (Veronella), Elena Tosetti (Fanano), Lydia Toraldo Serra (Tropea), Elsa Damiani (Spello).

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Ada Natali.

Ada Natali, da tutti conosciuta come “maestra Ada” fu invero la 1° donna sindaco d’Italia. Dal 1946 rimase per 13 anni alla guida di Massa Fermana, in provincia di Ascoli Piceno. Alle politiche del 1948 venne eletta alla Camera dei Deputati nelle liste del Fronte popolare (PCI-PSI). Morì il 27 aprile 1990. Fu partigiana e politica, ma era innanzitutto maestra, tutti la ricordavano così. Andava in giro per le strade a controllare che i ragazzini studiassero e a prendere a scappellotti coloro che baravano. Inoltre, insegnò a leggere e scrivere a molti cittadini analfabeti del paese. Partecipò anche a due battaglie durante la Liberazione. Pochi sanno che Ada era anche laureata in Giurisprudenza.

Palmiro Togliatti la spedì nel 1948 in Unione Sovietica, unica donna delle delegazioni che instaurarono regolari rapporti diplomatici con l’URSS, poi nel 1953 in Sicilia per avviare una politica attiva delle donne nelle istituzioni.

Nel 1946, vennero elette 21 parlamentari donne su 556, 5 di loro avrebbero fatto parte della Commissione per la Costituzione, incaricata di redigere e proporre il progetto di Costituzione dell’Italia Repubblicana. Esse erano: Maria Federici, Angela Gotelli, Nilde Jotti, Teresa Noce e Lina Merlin.

21 donne alla costituente

Proprio Nilde Jotti avrebbe contribuito alla stesura dell’art. 3 della Costituzione, che garantì alle donne pari diritti e pari dignità in ogni campo.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” (Art. 3 Costituzione italiana)

 

La Costituzione, stabilendo la parità di sesso fra tutti i cittadini, uomini e donne, tra l’altro, fece poi cadere tutte le barriere che c’erano prima per l’accesso della donna a varie funzioni pubbliche e anche alle professioni.

L’augurio è che, se non una contemporanea, una delle nostre figlie o una delle nostre nipoti arrivi a ricoprire la carica di 1° Presidente del Consiglio donna e 1° Presidente della Repubblica donna. I tempi sono maturi, tanta strada si è fatta in questa direzione, ma il cammino è ancora lungo.

A cura di Franny.

 

 

 

2 risposte a "1° febbraio 1945: il diritto di voto alle donne"

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