Rita Levi Montalcini è passata alla storia per essere stata una grande neurologa, accademica e senatrice a vita italiana. Nel 1986, ha ricevuto il Premio Nobel per la sua lunga carriera di scienziata.
Da tutti conosciuta e apprezzata, pochi sanno che il suo non fu un cammino semplice. Rita nacque in una famiglia ebrea, figlia di un ingegnere elettrotecnico e di una pittrice, insieme ad una gemella di nome Paola.
Come avrebbe detto, in occasione di un discorso dopo l’assegnazione di una laurea honoris causa, in Biotecnologie Industriali, “Il mio unico merito è stato l’impegno e l’ottimismo, non certo l’intelligenza che è più che mediocre”.
Quando disse a suo padre che voleva fare l’università di Medicina, i due si scontrarono duramente perché lui riteneva il percorso poco adatto ad una moglie ed una madre. Rita, tuttavia, aveva ben chiari i propri obiettivi e non si fece intimidire, anzi, tirò dritto. La scelta di Medicina fu determinata dalla malattia e dalla morte di cancro della sua amata governante, Giovanna Bruatto.
La seconda volta che dovette dare prova di incredibile tenacia fu quando, ai tempi del fascismo, il governo promulgò il Manifesto per la Difesa della Razza e le leggi razziali e fu stabilito che tutti coloro che, come lei, appartenevano ad una famiglia ebrea e non erano ariani, dovessero essere allontanati dall’insegnamento e dalla ricerca. Rita riuscì a trovare un’opportunità in Belgio, dove visse per un po’ in esilio e fu ospite dell’istituto di neurologia dell’Università di Bruxelles, in attesa che le cose migliorassero, poi, in seguito all’invasione del Belgio, avvenuta nel 1940, tornò nella sua Torino e allestì un piccolo laboratorio nella propria camera per proseguire le sue ricerche. Nel 1941, un pesante bombardamento la costrinse ad abbandonare di nuovo la sua città, ma Rita non si perse d’animo e si rifugiò in una villa sulle colline astigiane, di proprietà della famiglia di sua sorella Anna. L’invasione dell’Italia da parte dei nazisti, nel 1943, la costrinse ad abbandonare anche quell’ultimo rifugio sicuro e a intraprendere, insieme ai suoi familiari, un viaggio verso il Sud Italia per evitare la deportazione. Riuscirono a trovare riparo nel centro, a Firenze, ospiti della famiglia Lurini, dove riuscirono a sopravvivere all’Olocausto, nascosti in vari alloggi, fino alla Liberazione da parte degli Alleati.
Rimase umile fino alla fine, nonostante i grandi traguardi tagliati. Un esempio di questa semplicità si ebbe il giorno della consegna del Premio Nobel da parte del Re di Svezia. Rita lo ritirò nel suo vestito con strascico nero, col capo leggermente inclinato quasi a nascondersi.
Passò una vita intera a viaggiare, a fare ricerche e a condurre esperimenti. Quando partecipava ai convegni, spesso era l’unica donna e, incredibilmente, questa cosa anziché scoraggiarla la divertiva. Era una pioniera e, come diceva lei, “L’umanità è fatta di uomini e di donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi”.
Celebre è l’episodio in cui, un giorno, una signora ad un convegno le si avvicinò e le chiese: “E’ qui con suo marito?”
Rita rispose, in inglese: “Mio marito sono io.”
Distribuì migliaia di borse di studio a ragazzi italiani e si impegnò fortemente per la causa delle donne, spesso costrette a rinunciare ad una carriera universitaria o nel mondo della ricerca dai dettami sociali e da una serie infinita di pregiudizi.
Come diceva lei, “il futuro del pianeta dipende dalla possibilità di dare a tutte le donne l’accesso all’istruzione e alla leadership. È alle donne infatti che spetta il compito più arduo, ma più costruttivo, di inventare e gestire la pace.”
Rita se ne è andata una domenica pomeriggio, alla veneranda età di 103 anni, secondo quanto ha affermato sua nipote Piera, “come si spegne un faro […] senza soffrire.”
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A cura di Franny.
Lei è un esempio da seguire, senza alcun dubbio. Sono queste persone che meritano di essere ricordate per il loro coraggio e i loro sforzi.
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È vero 🙂👏concordo in pieno!! La stimo tantissimo! Bisogna raccontare più storie come questa, perchè sanno motivare davvero! Grazie per essere passato e buona giornata 🙂
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Sì sono storie che sanno motivare e danno anche un po’ di speranza e visto i tempi che corrono ne abbiamo bisogno.
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Eh infatti 🙂 visti i tempi che corrono e tutte le difficoltà della vita, danno speranza e aiutano a continuare a lottare💪
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