Il viaggio di Sara- racconto

Sara è la protagonista di questo racconto nuovo di zecca, che ho scritto quest’anno. Se dovessi descrivervela in breve, vi direi che era una ragazza felice, solare, positiva… che cercava sempre di cogliere il meglio da ogni opportunità che la vita le offriva. Vedeva il buono in ogni persona. Anche quando veniva ferita e delusa, Sara trovava una giustificazione per discolpare gli altri, per cercare di scusarli e di comprendere i loro limiti. Non aveva paura di niente e il suo cuore ruggiva dinanzi agli ostacoli della vita. Un giorno, però, accadde qualcosa che cambiò tutto… avvenne a causa di un brevissimo viaggio: il “viaggio” di Sara, quello che avrebbe mutato la sua percezione della realtà, che l’avrebbe segnata negli anni a venire, che le avrebbe fatto comprendere che non esistono solo persone buone e giuste… e che il momento in cui ciò diventa più evidente è quando ti trovi in reale difficoltà.

Ho scritto questa novella perché voglio che passi un messaggio, ma so che, ciascun lettore, a seconda del proprio vissuto, le darà un’interpretazione diversa.

Il viaggio di Sara

Stava tornando a casa dal lavoro, quando successe.

Era stata una giornata molto pesante, ma lei era felice molto felice. Era soddisfatta della presentazione, che aveva portato avanti durante il meeting in azienda. Aveva parlato bene, si era espressa con calma e naturalezza, senza neanche agitarsi per il microfono o la presenza di troppi partecipanti. Aveva sicuramente fatto una buona impressione e anche il suo capo era contento.

Uscì alle sei, come al solito, ma, siccome quel giorno voleva tornare presto dalla sua famiglia, si disse che avrebbe corso per prendere il treno prima, quello che dalla città l’avrebbe portata nel suo paesino di campagna. Qualche collega cercò di trattenerla a parlare un po’, ma lei si congedò frettolosamente. Quel lunedì aveva troppa fretta. La fretta non è mai una cosa buona, ma certo non si può colpevolizzare la corsa di Sara verso il treno perché voleva avere un po’ più di tempo da passare con i suoi genitori… era ineluttabile, su quella strada il destino aveva deciso di mettere una linea spezzata e lei non avrebbe potuto farci niente.

Fu un via vai di coincidenze e rallentamenti strani, che volevano impedirle di commettere una sciocchezza: persone che la fermavano per rapidi sondaggi, semafori rossi e sensazioni inspiegabili provenienti da chissà dove.

Salì sul treno per un soffio, dopo aver corso come una dannata. Su di esso, si sedette su una delle carrozze centrali, accanto a delle persone che non avrebbe scordato mai più, in particolare un anziano con la faccia scura, tutto vestito di nero, che lavorava al PC e le incuteva un discreto timore.

Il viaggio sul Regionale Veloce durò circa 20 minuti, poi Sara giunse a destinazione e si affrettò a scendere alla prima fermata, che corrispondeva a un paese vicino al paesino in cui lei abitava coi genitori.

Poco prima di vedere le porte del treno spalancarsi, davanti a propri occhi, qualcuno la chiamò. Era un uomo. Le disse di aspettare, perché le era caduto un bottoncino finto di perla dalla camicetta. L’uomo glielo restituì. Sara gli sorrise e lo ringraziò… neppure, quel gesto per rallentarla ulteriormente, era riuscito a salvarla da ciò che sarebbe avvenuto poco dopo. Quando tutto sarebbe finito, Sara si sarebbe chiesta se non fossero stati gli angeli a volerla avvertire!

Balzò giù dal treno e raggiunse il parcheggio, dove suo fratello Paolo la aspettava, col motore acceso. Qualche volta, andava a prenderla sua madre, ma quel giorno i suoi gentori avevano pensato fosse il caso di mandare Paolo.

Sara aveva il cellulare acceso e rideva delle battute di alcuni amici su un gruppo Whatsapp, raccontando a Paolo del lavoro, soffermandosi in particolare sulla buona riuscita della sua presentazione. C’era un legame forte fra lei e Paolo, sin da quando erano piccolissimi. Potevano parlare di qualsiasi cosa, anche per ore, senza fermarsi. E’ difficile questo fra due fratelli.

Sara era la maggiore e anche la più testarda e più forte dei due. Aveva una determinazione e una forza che molti le invidiavano, soprattutto quando accadeva qualcosa di molto brutto. Era sempre pronta a incoraggiare chi si trovava in guai e a sostenerlo.

Stavano quasi arrivando a casa, mancava solo una curva, l’ultima curva.

A casa, però, quella sera, non ci sarebbero tornati… non subito. Niente cena calda per loro. Niente liti davanti alla TV.

La macchina grigia sbucò dal nulla, invadendo completamente la loro corsia contromano. Paolo provò a sterzare a sinistra, per evitarla… non servì a niente. Sara guardò la morte venirle incontro. Ebbe solo qualche istante per vedere che l’uomo alla guida era solo, che era pelato, di mezza età, e che aveva una brutta espressione rabbiosa a oscurargli il volto. D’istinto, capendo che lo scontro fra le due vetture era inevitabile, si coprì il viso con un braccio, temendo che i vetri le schizzassero in faccia dopo lo schianto. Sara pensò a molte cose, tutta la vita le scorse davanti agli occhi e rivide in maniera nitida persino il sogno che aveva fatto la notte prima, dove aveva visto se stessa volare in alto nel cielo, sentirsi molto felice e salire verso qualcosa che sembrava essere il Paradiso.

Il fratello di Sara non bestemmiò, anche se un altro al posto suo forse lo avrebbe fatto. Emise un urlo quasi disperato, per avvisare Sara del pericolo. Sara disse drammaticamente “Lo so”. Raccolse una grande calma e una grande voglia di restare viva in se stessa, dopodiché l’urto fu incredibile. Si sentì un rumore uguale a quello di un’esplosione o di un fuoco d’artificio fortissimo… quel rumore le sarebbe rimasto dentro… così come l’odore di fumo e di sangue le sarebbe rimasto e nei polmoni e, con quello, per sempre avrebbe identificato l’odore della morte.

Sara, senza volerlo, si era chinata d’istinto in avanti, rendendo inutile la protezione della cintura. Lo schianto, l’aveva buttata brutalmente contro il sedile facendole prendere una brutta botta alla schiena. Sara guardò verso suo fratello, vide che era cosciente anche lui… lei non aveva mai chiuso gli occhi, aveva registrato tutto fino alla fine. Gli airbag erano scoppiati entrambi. L’uomo dell’auto grigia pareva più vigile e sano di loro. Sara assistette alla scena, inerme, col sangue, che le era sceso dalla bocca, colato sulla camicetta e dolore, un dolore lancinante al petto, in alto a sinistra, e in tutta la schiena. L’uomo di mezza età, arrabbiato e spaventato insieme, accelerò. Sara lo vide. Per sgusciare via e scappare, diede un altro colpo, col muso, al lato della macchina del passeggero, dove si trovava Sara.

Altro dolore… quando quell’uomo, quel bastardo, avrebbe anche solo semplicemente potuto fermarsi e non cercare di andare via e infliggere un altro colpo a una ragazza innocente, che stava tornando dal lavoro ed era soltanto felice delle piccole cose che aveva. Sara e Paolo si chiesero se sarebbero morti. La loro macchina fumava. Era in mezzo alla carreggiata, in curva, in pieno luglio… c’era tantissimo olio per terra, il cui spargimento era stato provocato dallo scontro.

Una fila di auto si formò subito dietro la macchina di Sara e Paolo. Paolo perdeva sangue dalla bocca… gli faceva male tutto, sembrava essersi rotto qualcosa, ma riuscì comunque a scendere dalla vettura. Sara, nonostante il mezzo potesse prendere fuoco da un istante all’altro, no. Fu incosciente, incredibilmente incosciente… ma, anche volendo, non avrebbe potuto muoversi. La schiena le faceva troppo male, così male che aveva paura a tirarsi su da sola.

Fu soccorsa da alcuni degli automobilisti, che erano rimasti fermi in coda. Erano in gran parte gente del paese. Uno di loro, marito di una ragazza che conosceva, le aprì la portiera, vedendo che la ragazza stava per perdere i sensi a causa del fumo eccessivo. Un altro chiamò i vigili del fuoco e il 118. Un’altra ragazza stette vicino a suo fratello, mentre lui cercava invano di tornare alla macchina per aiutarla a scendere. Sara sentiva di non poter scendere, ma al tempo stesso sentiva che l’auto non sarebbe esplosa e che non sarebbe morta. Aveva troppe cose ancora da fare, troppe persone a cui voleva bene che non poteva lasciare… comunque fosse andata, lei sarebbe tornata quella di prima per realizzare i suoi sogni e tornare dalle persone che amava. Nonostante tutto, Sara non pianse, mise su un bel sorriso e disse a tutti quelli che glielo chiedevano che stava bene. Non era vero, non sapeva se stava bene e il dolore lancinante che provava diceva di “no”, che lei effettivamente non stava bene… ma lo disse come sinonimo di “sono viva”, “mi sono vista la morte in faccia, ma sono viva”. Voleva che suo fratello non si preoccupasse e che tutti quelli del paese non si preoccupassero… ci volle un po’ prima dell’arrivo dei soccorsi. Innanzitutto, Sara chiese dov’era l’uomo dell’altra auto… e suo fratello Paolo le andò dietro a ruota.

Gli automobilisti, che erano scesi dalle loro vetture, dissero che la sua auto si era fermata davanti, nell’altro lato della carreggiata e che a bordo del mezzo c’era anche un ragazzo, suo figlio, che diceva di essere stato al volante. Sara si arrabbiò moltissimo! Lei aveva visto tutto e sapeva che quell’uomo mentiva! Così, suo fratello! Non c’era nessun altro al di fuori di lui nella vettura. Lo disse a tutti, a chiunque si avvicinasse al suo finestrino. Se ne fregò del dolore lancinante e lo urlò a chiunque incontrava: “Quell’uomo mente! Io l’ho visto! Quell’uomo era ubriaco! Guidava lui… suo figlio neanche era in macchina, è arrivato adesso!”

Gli automobilisti, che erano subito in coda dietro di lei e che avevano assistito alla scena, le diedero ragione. L’uomo fu costretto a confessare che aveva bevuto, che suo figlio era appena arrivato da un paese vicino in motorino e che lui gli aveva chiesto di far finta di essere al volante, approfittando della confusione.

I soccorsi arrivarono un bel po’ di tempo dopo. Sara era più calma e si faceva coraggio, conscia del fatto che almeno il responsabile era stato fermato. I carabinieri la interrogarono sulla sua versione dei fatti e lei raccontò tutto lucidamente. Poi, paramedici del 118 e vigili del fuoco la tirarono fuori dal mezzo ancora fumante, legandola con delle cinghie, per traslarla su una barella, tentando di muoverla il meno possibile.

Sara riusciva solo a pensare che da un po’ temeva che potesse accaderle una cosa del genere. Era una miracolata. Tutti coloro a cui raccontò com’erano andate le cose, le dissero che era davvero un racconto da brividi ed era incredibile che fosse ancora viva. Sara, in cuor suo, sapeva che qualche angelo l’aveva aiutata, che qualche persona scomparsa prematuramente dalla sua vita aveva fatto di tutto per impedire che lei e suo fratello morissero. I nonni, gli zii, tutti i parenti e gli amici in cielo si erano industriati per arginare la portata di quella disgrazia…a Sara piaceva pensarla così, perché era difficile spiegarsi razionalmente la cosa.

Salita sull’ambulanza, tutto divenne più ostico, il male fisico cominciò a crescere d’intensità. Sara strinse i denti, non pianse, anche se voleva farlo, e, quando vide sua madre salire sull’ambulanza per accompagnarla all’ospedale più vicino, sorrise e le disse “mamma, davvero va tutto bene. Sono viva.” Le ossa facevano dannatamente male, no che non andava bene. Ma come avrebbe potuto rispondere altrimenti a una madre terrorizzata per il destino dei suoi figli? Suo fratello fu trasportato su un’altra ambulanza.

Era pronta al peggio del peggio. Si disse che avrebbe accettato tutto. Pensò a se stessa su una sedia a rotelle o durante mesi e mesi di riabilitazione e si disse “Ok, se è questo che devo sopportare per essere ancora viva… ok, non so perché cazzo sia andata così… perché mi sia successo tutto questo quando non ho fatto del male a nessuno, quando né io né mio fratello avevamo bevuto, quando lui è bravissimo a guidare e non si distrae mai… non lo so perché va così, la vita è una…accetterò quello che verrà. Mi basta restarci in questo mondo.” Sentiva del liquido scorrerle in modo anomalo dentro al corpo, a causa della botta. Era spaventatissima, ma fuori tentava di non darlo a vedere. Passò quasi tutto il viaggio senza parlare, senza guardare sua madre, concentrandosi sugli adesivi di “Alla ricerca di Nemo”, che erano stati affissi su una aprete dell’ambulanza a mo’ di decorazione, probabilmente per rendere più accogliente il mezzo per bambini e disabili.

Arrivò in ospedale prima di suo fratello e provò un immenso sollievo, come se essere in ospedale la rendesse automaticamente al sicuro… Sara avrebbe imparato che con la sanità pubblica non funziona esattamente così, ma che sei un numero tanto quanto gli altri e che a ben pochi e rari medici importa davvero quello che ti è accaduto… neanche se sei giovane, hai 27 anni e non te lo sei andato a cercare. Sara aveva sempre ammirato quell’ospedale, perché si diceva fosse uno dei migliori… non avrebbe voluto tornarci mai più, in seguito, però.

Fecero aspettare tanto sia lei che suo fratello prima di visitarli. Suo fratello lo misero su una carrozzella. Lei rimase lunga distesa sulla barella, senza riuscire a sedersi o ad alzarsi. Dopo qualche ora, una dottoressa li guardò, prima lei e poi Paolo, insieme ad alcuni infermieri. Sara raccontò loro com’era andata, ma la ascoltavano a malapena… infatti, sul foglio dell’ospedale scrissero che si era alzata con le sue gambe dalla macchina… non scrissero che era stata tirata fuori dai vigili del fuoco. Furono freddi, crudeli, le chiesero se guidava lei, se era drogata, le fecero un test per verificare se non fosse incinta anche se lei ripetè più volte che non lo era. Dovevano verificare il suo stato, per decidere se farle o meno i raggi… bella prassi! Peccato, che risparmiarono sui raggi e neppure glieli fecero a dovere! Non ascoltarono quasi niente di ciò che aveva da dire, era come se né lei né Paolo avessero appena avuto un frontale. Sara disse che aveva male al petto, in alto a sinistra, e alla schiena a e che non riusciva più a muovere un dito della mano destra, la mano con cui si era protetta il viso. La dottoressa, che era una giovane specializzanda, grugnì che doveva scegliere dove le faceva più male. Le chiesero se voleva dell’antidolorifico. Sara non voleva più aghi nella pelle… il dolore era già abbastanza… così disse di no, che per il momento andava bene, quando chiunque al posto suo ne avrebbe preso una gran dose di antidolorifico!

Sara scelse di fare i raggi alle costole. Non sapeva perché le fosse stato imposto di scegliere, ma lei si fidò ciecamente dei medici, senza obiettare.

Le fecero i raggi solo lì e alla mano. La schiena nessuno la guardò.

Dopo ore di attesa per i risultati, dissero a lei e a suo fratello che non avevano niente di rotto e li squadrarono come due che avevano fatto tanta cagnara per niente. A suo fratello raddrizzarono un dito del piede e fu tremendo. Quando Sara fu costretta ad alzarsi per forza, sempre mezza sorridente, il dolore era così lancinante che stava per stramazzare a terra. Allora, le fecero una flebo di antidolorifico. Sara rimase scioccata, mentre le comunicavano i risultati e la visitavano un’ultima volta. Poco lontano, un paziente in codice rosso, che aveva subito un incidente con lo scooter e non si ricordava il suo nome, veniva brutalmente maltrattato dagli infermieri.

Solo un infermiere fu gentile con Sara, un signore di mezza età, che le prese un po’ d’acqua, perché aveva capito che davvero lei non si sentiva bene, quando fu costretta a fare pipì per fare un’ecografia.

Sara e suo fratello furono rispediti a casa tra la notte e la mattina del giorno dopo. Sara era arrabbiata. Si appoggiò al bastone del padre per cercare di camminare fino alla macchina di un cugino, che gentilmente era andato a prenderli, insieme a suo padre. Ce la mise tutta per non svenire, aveva la pressione ai minimi, come le avevano fatto notare gli infermieri… così fece il pieno di zuccheri alla macchinetta.

Quella notte/mattina, giunta nel suo letto, sperò di non morire nel sonno. E così per diversi giorni dopo. Le avevano dato solo dieci giorni di prognosi, in cui sarebbe potuta stare a casa dal lavoro. Sara non riusciva ad alzarsi dal letto, a piegarsi, a camminare bene e a vestirsi… poi, ci sarebbe riuscita di nuovo, piuttosto bene, ma ci sarebbe voluto del tempo.

Un giorno, visto che i dolori non se ne andavano, rifece i raggi insieme al fratelllo ed entrambi scoprirono di essere stati brutalmente sottovalutati: Paolo aveva sette costole rotte, in maniera scomposta… lei due. Per la schiena, convinta dai dottori che andava tutto bene e che era colpa della “botta” se il male continuava ad esserci, aspettò ancora diverso tempo, troppo… solo per paura di non essere creduta, solo per eccessiva fiducia nei dottori. Sara e Paolo furono “in parte” risarciti, l’uomo ubriaco -che non era voluto andare in ospedale per non rivelare il proprio tasso alcolemico- si era preso la colpa… ma la giustizia non trionfò al 100%. A Sara dissero solo “Il mal di schiena non si può dimostrare, te ne terrai un po’ per tutto il resto della tua vita”. E si sentì pure trattare da colpevole, quando lei non aveva avuto alcuna colpa in ciò che era successo, solo sfortuna. Allora, Sara capì che molte più persone di quelle che pensava facevano schifo, che c’erano poche rare persone in cui avere fiducia… e che la giustizia è una cosa non assoluta, ma assolutamente relativa… che se non sei nessuno non hai diritti. Così, si disse che si sarebbe tenuta il suo mal di schiena, che a poco a poco sarebbe migliorato comunque -ci sperava fermamente e i progressi fisici le davano un po’ ragione-… perché, a quasi un anno dal fattaccio, Sara poteva dirsi quasi quella di prima. Un incidente automobilistico fu il “viaggio” di Sara verso una nuova versione più matura del suo modo di pensare e vedere la realtà.

Il mio messaggio è: Non bevete quando guidate, non usate il cellulare, solo perché pensate assurdamente che a voi non capiterà mai… non distraetevi, non guidate stanchi… lo schianto è terribile e non ne vale la pena, per due minuti un messaggio può aspettare e una birra la potete evitare, ne va della vostra vita e di quella di altre persone… questo, almeno, è quello che vi direbbe Sara.

A cura di Franny.

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