Il lavoro che fai cambia in positivo il modo in cui vivi, non solo economicamente, ma anche a livello psicologico e personale. Essere occupati ci fa sentire utili, realizzati e soddisfatti… tutto questo è bene, ma essere persone di successo non basta. È soddisfacente costruirsi una carriera con le proprie forze, essendo partiti da zero, avendola portata avanti continuamente con determinazione a dispetto dei venti contrari, della mancanza di occasioni e della scarsità di mezzi.
Eppure, essere persone realizzate sul posto di lavoro non è abbastanza. È incredibilmente triste, se al tuo fianco non hai una famiglia che ti supporta, colleghi che sono diventati amici sinceri, amici di vecchia data che non ti hanno mai lasciato… e magari un ragazzo speciale con cui condividere tutto questo.
Dicono che ce la si fa da soli, che dobbiamo essere i nostri stessi eroi. Ma la verità è che qualche volta non c’è nulla di male ad abbassare un po’ le difese, a provare a uscire dalla nostra zona di comfort e dire “non ce la faccio”, “tutto questo non è sufficiente”, e lasciare che a tirarci su il morale sia qualcun altro.
Di amore abbiamo bisogno. E questo ha molte forme: può manifestarcelo un genitore, un fratello, una sorella, un’amica, un amico, un fidanzato, un animale domestico…
Chiudersi in se stessi, credendo che “noi stessi” siamo l’unica persona di cui necessitiamo davvero è limitante. Lo facciamo per paura.
Cosa ci impedisce di correre uno di quei rischi che ci sembrano tanto impossibili per provare ad essere felici?
Ci si butta esclusivamente sul lavoro per un motivo: per rivalsa, rivalsa su un dolore profondo e duraturo che ci perseguita da tempo e che vogliamo a tutti i costi scacciare, rivalsa su chi a suo tempo ci ha giudicati dicendoci che non eravamo abbastanza…
E ciò è bello, è onorevole, ma la vita è troppo breve per riempire le nostre ore solo di lavoro e distaccarci da tutto il resto. Ci vuole una via di mezzo, una scelta equilibrata, almeno a livello mentale…
È estremamente difficile. Ma dobbiamo renderci conto che molte persone cui vogliamo bene un giorno non ci saranno più… e tutto il tempo che non avremo trascorso con loro finirà per pesarci sul cuore.
Un genitore distante, sebbene per dovere e virtù, spesso può lasciare ferite profonde in un figlio, nonostante quest’ultimo in parte capisca l’inevitabilità per l’adulto di dover fare dei sacrifici. Tutti noi possiamo fare del male, consapevolmente o no, adottando un’attitudine distaccata dal mondo, assumendo la modalità “solo lavoro” sempre attiva, anche quando al lavoro nemmeno ci siamo fisicamente. Ogni tanto dobbiamo prenderci delle pause, nei momenti meno intensi, e ascoltare quello che hanno da dirci coloro che ci circondano.
Scrooge, protagonista de “Il canto di Natale” di Charles Dickens, arriva quasi alla fine della sua vita con tantissimi soldi, una fortuna che ha accumulato nell’arco di una lunga carriera… però a lui manca tutto, non ha affetti… o, meglio, ha persone che lo apprezzano e gli vogliono bene nonostante il suo caratteraccio e i suoi modi, ma neanche se ne rende conto al principio della storia.
Il lavoro nobilita l’uomo e la donna e ci dà una ragione per andare avanti, oltre ai mezzi materiali… ma non possiamo vivere solo di quello.
Come Scrooge, nel suo epilogo felice, dobbiamo imparare a dire “non posso farcela per sempre da solo” e affidarci agli amici, alla famiglia, a chi ci vuole bene. Se Scrooge si fosse reso conto prima che sbagliava, forse non avrebbe perso la sua amata Belle.
A cura di Franny.
Bel post 🙂
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Grazie Paola🙂sono contenta che tu lo abbia apprezzato!!
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