Le case scorrevano tutte attorno a Yuel, mentre lei volava sul suo bel destriero bianco, tanto velocemente da sembrare pallidi fasci di luce solare vista allo specchio. Il bosco era particolarmente fresco d’estate e Yuel conosceva ogni sua zona ombrosa, tra quelle più nascoste, nei pressi di un allegro ruscello, a quelle più vicine al sentiero, appena oltre qualche cespuglio.
Yuel era una bambina molto buona, sempre gentile con tutti, dolce, tenera, altruista… buona a tal punto da pensare prima agli altri che a se stessa, come spesso accade a ogni persona di buon cuore.
Yuel, però, non si poteva dire una bambina normale, né una bella bambina.
Yuel non poteva leggere, e questo era un male comune in paese, sebbene non nella sua famiglia, ma, cosa ancora più grave, lei non poteva scrivere.
La sua precettrice Andowa provò più volte a insegnarle in maniere diverse, ma questo non servì a nulla.
Eppure, eppure, Yuel doveva assolutamente imparare a leggere e scrivere perché lei sarebbe diventata una Shavan, un’inventa-favole.
Nella sua famiglia tutti erano stati narratori delle più grandi imprese mai compiute e immaginate e lei, l’unica figlia, portare il nome più illustre dell’intero albero genealogico.
Non che Yuel non se la sentisse, ma… ben pochi alla fine credevano che lei davvero sarebbe riuscita nell’intento.
Yuel soffriva di una malattia allora ancora ignota, ma comune fra gli inventa-favole. Una malattia che portava gravi disfunzioni del settore intellettuale dedito a scrittura e lettura.
Succedeva raramente che questa malattia sorgesse in modo così lampante e grave, eppure lei ne soffriva.
Inoltre, Yuel non riponeva alcuna fiducia in se stessa.
E come poterlo fare?
Yuel era molto molto piccola per la sua età, aveva i piedi storti e le gambe sottilissime, la vita appena più larga, le braccia molto corte, le dita delle mani secche e ossute, il collo incavato, il mento appuntito, le labbra a puntura d’ape, il naso a patata, le guance, piene di odiose lentiggini, le orecchie enormi, i capelli color stoppa e gli occhi bigi.
Era una delle bambine più brutte e tristi di tutto il paese, eppure, secondo quella strana profezia, qualcosa stava per cambiare.
Come tutti gli Shavan, aveva ricevuto il suo libro delle favole… dalle pagine bianche, vuote, pronte a essere scritte.
Ogni mattina e ogni sera, di ritorno dalle lezioni di Andowa, lo apriva e lo guardava.
Che strana quella bambina, pensavano i genitori! Ma il nonno no. Il nonno, da buon inventa-favole anziano qual era, si infilava nella sua stanza poco prima che la cena terminasse e aspettava la bambina, seduto alla solita poltrona, coi capelli e gli occhi bigi e lo stesso naso a patata che la bambina aveva.
Ogni giorno arrivava con una storia e Yuel lo ascoltava, quasi imparava a crescere con lui… perché lui parlava la sua lingua… raccontandole storie ad alta voce.
Una sera era entrato in camera sua, ma non era entrato da solo. Stretto a sé, teneva un grosso libro.
“Vedi…”le aveva detto. “… questo è il mio migliore amico.”
La bambina lo aveva guardato sorpresa, perché lui, pur non essendo malato della sua stessa malattia, non era capace di leggere.
Più volte gli aveva chiesto come avesse fatto a diventare un inventa-favole come si deve. Spesso lui, per risponderle, si portava una mano al petto e batteva forte: col cuore.
Aveva aperto il libro, quella sera, e lo aveva dato in mano alla bambina.
“Senti?” le aveva chiesto.
Dapprima la bimba scosse il capo.
A vedere le parole le si confondeva la testa.
Poi, però…
“Devi imparare a leggere come puoi…”
Allora la bambina aveva preso il libro e l’aveva accarezzato.
Subito i suoi occhi si riempirono di immagini colorate e personaggi misteriosi e la bambina incominciò a parlare, a raccontare la sua prima storia.
“Vedi?”le disse il nonno. “Basta l’occhio del cuore per leggere un libro.”
E poteva anche prendere in mano lo stesso libro, fingendo di leggerlo mille, dieci volte, leggendolo poi a modo suo… con l’occhio del cuore, con la fantasia. Così la bambina che aveva paura di leggere scrisse le migliori favole che si ricordarono mai, dettandole a voce, mentre qualcun altro le traduceva su carta in un’arcana e misteriosa lingua che lei non avrebbe conosciuto mai e mai avrebbe nutrito il bisogno di conoscere.
Favola originale a cura di Franny.